2024 Anna Maria scrive:
IL PRIMO SPLENDORE DEL GIORNO
Leonella Masella possiede una rara virtù visionaria che le fa scorgere quel che serve alla messa in posa dei suoi progetti affinché tutto risulti attrattivo per varietà, originalità e vivacità, per sonorità delle dissonanze, armonia delle affinità, delicatezza delle scelte e perentorietà delle applicazioni. Vi è un filo rosso o blu o arancio, come più si preferisce vederlo, che passa da un lavoro al successivo, da una tematica a una nuova ricerca, finendo per offrire un’energia positiva e propositiva, per la quale è difficile, con lei, dubitare dell’avvenire dell’arte, fiduciosa, com’è sempre, per scelta etica irrinunciabile e per naturale e spontanea sensibilità d’animo. Nei suoi lavori, tutto parla di storie, più o meno spiegate, di bellezze fiabesche e di forme, che sono creature strabilianti dell’immaginazione, viste attraverso un caleidoscopio di colori, di equilibri, di luci, di corpi e di sguardi che celebrano e magnificano l’innocenza originaria del mondo, la sua varietà, servito, il tutto, da un’istintiva propensione all’affermazione di una grazia che possiede la sostanza misteriosa dei sogni. I Pavoni Reali, da lei realizzati nel laboratorio del suo studio, sono rappresentazioni plastiche di animali in possesso di una vitalità delicata e giocosa e di un carattere che, quasi, li fa sembrare desiderosi di avvicinare e assecondare la simpatia che suscitano in chi li ammira. Sono, soprattutto, sculture moderne a tutti gli effetti, realizzate con grande estrosità, utilizzando oggetti di plastica di vario genere, in prevalenza contenitori vuoti d’uso comune, assemblati insieme e recuperati per nuove funzioni e diverse finalità. Procedimenti, gli ultimi descritti, che Leonella Masella ha messo in atto per le sue Fontane, elevate, come i Pavoni Reali, a simboli di una sacralità futura a cui affidarsi, ambasciatrici e ambasciatori, tutti, di un messaggio di pace, quanto mai caro all’artista. Le sculture diventano così raffigurazioni che dispiegano le ali alla contemporaneità dell’arte e interpretano, insieme, l’enigma affascinante e inspiegabile della beltà di un Immaginario Fantastico, vero motore d’avvio ad ogni impresa innovativa nella vicenda millenaria del Pianeta. La mostra ha, poi, un ulteriore sviluppo nella stanza delle Città Volanti, con le quali sembra prendere vita un sogno antico, un mito leggendario, proprio in virtù delle loro strutture aeree e leggere come le foglie degli alberi esposte a un vento mite. Città Volanti che, con i Pavoni Reali e le Fontane, offrono il costrutto ideale di un Altrove in armonia con gli stati più misteriosi dell’anima. Vi è nella mostra di Leonella Masella anche tanto del suo vivido ricordo dell’Africa, dove ha vissuto, ha studiato e dove è ritornata più volte. Vi è, soprattutto, nell’allestimento odierno tanto del ricordo di una luce incandescente, pari solo a quella del sole, usa ad accompagnare il nero denso dell’oscurità notturna nei deserti; vi è tanto dei suoi viaggi e di quello che i suoi occhi hanno visto, hanno ammirato, hanno spiritualmente amato; vi è l’emozione colta e raffinata dell’arte, emozione che, in lei, discende dall’esplorazione fantasiosa di luoghi mitici, tali da incutere un velato timore, unito, però, sempre alla meraviglia con la quale Leonella Masella rivive il tempo trascorso e ne fa tesoro incomparabile della propria anima. Allora, “Perché l’Africa?”. Forse, perché può servire ad avvicinarsi all’assoluta purezza di età remote, misteriose e fiabesche, ancora rispettose della vita naturale del pianeta. L’arte può scegliere di affidarsi alla iperbolica immensità, senza barriere al confine armate, dell’immaginazione in suo potere, per far conoscere e sperimentare, quasi tangibilmente, un mondo meraviglioso con città volanti, processioni di animali in fiera, fontane dal nome antico, disegni e pitture tali, tutti, da accogliere l’emozione rara del pronunciamento del Sogno. Leonella Masella guarda al futuro e lo racconta in pace, cangiante e luminoso sotto il sole, con le sue città-albero, con le sue stanze-rifugio, con i suoi intricati labirinti in miniatura, con le sue sculture moderne di creature favolose. Un futuro posto, a Villa Altieri, su un pavimento di vetro spesso, che lascia intravedere al di sotto reperti di antichi marmi e frammenti d’età Romana, che creano, con le opere in esposizione, un contrasto di amorose corrispondenze, tenute presenti dall’autrice al momento dell’allestimento della propria mostra; un contrasto, che è segno di vita e di continuità storica con le sue creature d’invenzione, rassomiglianti a figure di specie sconosciute e rare. Primeggiano nell’idea di Leonella Masella i Pavoni Reali per le caratteristiche inerenti alla loro specie, per il loro aspetto maestoso e per l’attribuzione in passato di significati mitici e simbolici. Agli occhi dell’autrice la magnificenza del loro aspetto ben si attaglia alla contemporaneità della nostra epoca che cerca l’unicità e, nell’unicità, l’infinita varietà, al fine di costituire nuove forme d’espressione in grado di dare lustro all’arte col figurare un mondo di fiabesca eccentricità e di fulgida lucentezza. I suoi lavori hanno di proprio una sempre serena festosità, in grado di condurre fuori da ogni conformismo di maniera ogni suo progetto, forte, ogni volta, di un equilibrio paradigmatico, che risulta tanto espansivo e delicato, quanto, altresì, studiato nell’ideazione e complesso nella laboriosa messa in opera. Sicché, solo alla fine del percorso della mostra, è dato avvertire, ad oggi, tutta la fascinazione di un’impresa, quale è quella di Leonella Masella, proiettata verso una bellezza di autentica affettuosità e data in elogio di una verità senza inganni, sincera, in qualche modo religiosamente devota al futuro che verrà.
2024 Domenico Patella (professore) scrive:
Brevi riflessioni scientifiche sull’immaginario artistico di Leonella Masella
Si dice spesso che la scienza e l’arte sono due differenti tipi di cultura, giacché la scienza si sforza di essere obiettiva, mentre l’arte è intrinsecamente soggettiva. A mio avviso, e siamo in molti a pensarlo, l’arte e la scienza sono manifestazioni apparentemente distanti, ma in realtà profondamente intrecciate, di un’unica cultura, la cultura umana tout court. La comunità scientifica è oggi chiamata a un continuo confronto e dialogo con diversi settori della società e la scienza è entrata nel dibattito politico e pubblico. Cosicché l’arte può essere un mezzo potente per diffondereconoscenze scientifiche e per far riflettere sul loro ruolo, convertendole in un’emozione percepibile da chiunque e aiutando così a prendere scelte consapevoli, ad agire in modo sostenibile. In merito al connubio tra arte e scienza, mi piace qui fare riferimento a due paradigmi scientifici che credo ben si attaglino all’idea di materia-spazio-tempo insita nell’opera artistica di Leonella Masella: prospettiva e relatività.
La prospettiva, che in senso figurato si ritiene rappresenti l’emblema dell’animo dell’artista, nell’accezione scientifica diventa la denuncia d’un evento accessorio, un epifenomeno, un effetto collaterale di qualcosa di oggettivo che sta a monte e che coincide, in ultima analisi, con il messaggio che l’opera artistica può veicolare. Non possiamo non godere delle diverse creazioni plastiche dei Pavoni Reali di Leonella Masella e delle altre creature ibride, tutte matericamente ben caratterizzate.
Un tale caleidoscopio di colori, trasparenze ed equilibri, che conferisce a inerti di plastica e altreminuterie metalliche lo status di corpi capaci di veicolare personalità ed emozioni, come ci suggeriscono Anna Maria Corbi e Simona Antonacci nella loro presentazione del catalogo della mostra, visto con l’occhio della scienza, mi appare, per quanto detto, un epifenomeno di elevata caratura culturale ed estetica di un concetto primario che è quello del riciclo. L’onda di plastica, che sembra invadere smisuratamente e indiscriminatamente il nostro pianeta a danno dell’intero ecosistema, inaspettatamente collassa in una collezione di ideali docili creature: un vero e proprio esperimento manuale che Leonella ha messo in atto con la sua spiccata sensibilità artistica. Come a rivolgere, fuori di metafora, un appello accorato a limitare l’uso della plastica a quanto basta per poter essere riutilizzato in modo sostenibile. Ecco, quindi, come il bello artistico introduce uno squarcio di etica e di estetica in un ambito quanto mai vitale della scienza dei materiali.
Parallelamente, la relatività, che introdotta da Galileo permise poi ad Einstein di definire spazio e tempo come grandezze fisiche legate tra loro indissolubilmente, nell’arte esprime la tendenza a interiorizzare il concetto della cosiddetta quarta dimensione, cioè a superare l’idea di immutabilità dell’universo e della vita. In altre parole, in campo artistico si desidera che l’opera non si esaurisca in un hic et nunc, ma che stimoli a una più ampia percezione spazio-temporale adattabile alla personale capacità di riflessione d’ogni singolo spettatore. Come non vedere nelle città volanti di Leonella, uno slancio immaginifico proiettato al futuro dettato proprio dal principio di relatività. I fantastici edifici rotanti, muovendosi lungo geodetiche, appaiono migrare in caduta libera verso non ben identificati altri corpi celesti, in uno spazio cosmico in cui la volta celeste è sostituita dal paesaggio capovolto della vecchia Terra abbandonata. La proiezione al futuro è poi metaforicamente saldata sui vari solai dei grattacieli rotanti, fatti con circuiti stampati, i cui elementi circuitali di varia forma sembrano ammobiliare gli open space di smart house del futuro, quasi ad immaginare una domotica ad ampio raggio gestita da un’intelligenza artificiale ipersviluppata.
Per concludere, mi riaggancio alla premessa affermando convintamente che scienza ed arte non possono che avere un’origine comune, in quanto figlie dell’evoluzione biologica della specie umana, e che l’arte e la scienza si influenzano reciprocamente, anche in modo inconscio. Molto spesso, infine, arte e scienza colgono insieme, quasi all’unisono, lo “spirito dei tempi” e lo rafforzano, proprio come Leonella nel suo campo ci insegna.
Domenico Patella
Professore ordinario di Fisica, Università Federico II, Napoli
già Direttore dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali, Consiglio Nazionale delle
Ricerche, Roma
2023 Laura De Luca (giornalista) scrive:
Era il materiale del futuro, e oggi è il materiale del passato. In tanti sensi. Negli anni Sessanta del secolo scorso il chimico italiano Giulio Natta e il collega tedesco Karl Ziegler ricevettero il Nobel per la scoperta della polimerizzazione stereospecifica, un particolare tipo di reazione che porta a produrre in laboratorio le macromolecole tipiche della cellulosa e della gomma: nacque così la plastica, un materiale ultraresistente e praticamente indistruttibile che in sessanta anni ha rivoluzionato la vita sul pianeta.
…
D’altra parte lo stesso riciclo, oggi invocato da più parti come la soluzione allo smaltimento dei rifiuti in genere, nasconde in sé un peccato originale, e in particolare relativamente alla plastica: riciclata, non solo ci conferma la sua indistruttibilità, ma anche la sua capacità di risorgere dalle sue stesse ceneri infinite volte… Ci folgora allora come metafora straniante dell’eternità, valore decisamente non adatto alla vita sulla terra, cui dona di più l’inoffensiva finitudine della vita umana, che si conferma fragile e per questo così tanto incisiva e protagonista, nel bene e nel male, nel corso della storia: al contrario qualsiasi oggetto eterno o pseudo-eterno -indistruttibile e ultraresistente- finisce per consumare chi lo usa incondizionatamente e spietatamente. La plastica conduce così il materialismo dialettico fino alle estreme conseguenze: l’oggetto non solo reifica il soggetto, ma finisce per ucciderlo.
… (frammento da Materialismo storico – leggi tutto
2018 Helia Hamedani su
“Tun tun… Tun tun… Tun tun… the train of dreamers”
Il TRENO DELLA SPERANZA
Il rumore di vibrazioni di un mondo sconosciuto, un suono extraterrestre! Il trenino giallo, “pigro ma instancabile”, come ci racconta Leonella Masella, entra in scena e lentamente si ferma. Il tempo si dilata, scorre dolorosamente e batte il passo della gente che vediamo scendere e salire al rallentatore.
Dal finestrino l’occhio coglie la vita che là fuori scorre velocemente. Vediamo alberi, uomini che camminano, uno che pedala sulla bicicletta, i motorini, le macchine ferme e quelle in movimento, le strade, gli archi e le mura della città. Siamo a Roma, ma una Roma molto diversa da quella delle cartoline o dei selfie dei turisti; siamo sul Tranvetto della Casilina. Il treno che parte vicino alla stazione Termini e passando per Porta Maggiore esce dalla città antica e entra nella città contemporanea: la periferia romana.
Nel video osserviamo percorsi che si dividono nell’incertezza del bivio. L’immagine traballa sugli strati sovrapposti in movimento, mentre una voce narrante femminile legge poesie di poeti migranti; Marin Sorescu, Abdelhak Serhane e Garcìa José Ramon Medina. Giochi di luci e ombre; i colori si confondono e diventano quasi invisibili, ma percettibili come nei sogni che ricordiamo in bianco e nero. Ogni tanto ci arriva il dialogo tra l’artista e i passeggeri, le risposte semplici del trenino giallo.
Alle domande i viaggiatori rispondono dicendo cosa amano dell’Italia: mi piace la gente, la gente molto bravo, sempre buono con me, … la libertà, San Pietro, il rispetto, la polizia! E a quale sia l’essenza per vivere rispondono: il lavoro, la solidarietà e la speranza.Si, la speranza, unica risposta ripetuta due volte nel video. Risposte che ci lasciano un sorriso amaro, accendono un punto esclamativo, lasciano il dubbio.
Questo non è una statistica sociale ne è un report giornalistico. E’piuttosto un’esercizio d’ascolto, uno scambio di esperienze che rimane sempre parziale, aperto e in corso. Come il treno che arriva, parte, si ferma e riparte. Per Leonella, la domanda rimane sempre aperta. Quando l’altro diventa il nostro specchio, inizia il dialogo che bisogna costruire parola per parola nel tempo. Cosi come l’origine non è né un valore né un dispregio, ma è semplicemente il punto da quale partiamo noi viaggiatori.
Non c’è fine nello scorrere delle storie umane, come le origini che per noi uomini del XXI secolo assomigliano alle piante radicanti*; quelle che espandono le loro radici in maniera orrizzontale. Proprio come essere radicanti significa mettere le proprie radici in movimento, inserirle in contesti e formati eterogenei, negare il valore fisso dell’origine e agire la creatività per tradurre idee, trascodificare immagini, trapiantare comportamenti e scambiare anziché imporre.
Il video di Leonella Masella, con le sue inquadrature sfocate, ci evoca la doverosa messa a fuoco delle nostre certezze, delle nostre coscienze. È uno sforzo per sentire l’altro, prendendo la responsabilità di essere parziale e ridondante. Il trenino, che passa vicino alla sua casa, connette la sua storia alla città e ai suoi cittadini, a noi tutti, noi rifugiati**. Proprio quel trenino rumoroso e brutto che passa da Porta Maggiore, dove nell’antichità si erigeva il tempio dedicato alla “Divinità della Speranza” (ad Spem Veterem), diventa, per l’artista, il treno dei sognatori.
*Nicolas Bourriaud, The radicant, Lukas&Sternberg, New York, 2009, trad.it.M.E.Giacomelli, Il Radicante, Postmediabooks, Milano, 2014
**Mi riferisco al titolo dell’articolo di Hannah Arendt, We refugees, The Menorah Journal, 1943. Giorgio Agamben riprende lo stesso titolo per il suo intervento al Giorgio Symposium, estate 1995
2016 Anna Maria Corbi su Bello è lontano ovvero La Fontana di Cleopatra
È per il volto, e il corpo, di Cleopatra, e intorno a lei, nell’Antico e nell’attualità, che si gioca la partita di Ottaviano e Marco Antonio, di Augusto e la posterità, di Shakespeare e il profondo della psiche umana, che, umana, non è più, perché si è resa macchina di assemblaggio, utile e disutile, per quel tanto di vita biologica che, ancora, appartiene all’individuo sociale, o, più propriamente, per quella Babele, o confusione del linguaggio e delle culture, che porta sulla scia di un asservimento alla supremazia imperante del benessere accessorio, e nasconde, invece, in sé, la deriva d’ogni energia nell’inerziale inattività. Utile e disutile è, sempre, a modo proprio, l’arte del momento, che, solo, con il posticipo della riflessione e alla luce di realtà seguenti, svela il significato, o “non significato”, che ha.
E non si dà, in questo caso, alcun valore aggiunto all’Utile e al Significato, perché all’arte serve di tutto, è una fenomenologia onnivora, che, mentre sussume in sé gli elementi più eterogenei, li tramuta in ciò che vuole comunicare con la personale visione dell’artefice insigne, con la sua attività cerebrale, e, non ultima, ancora, sebbene in estinzione, con la sua propria attitudine pratica e d’invenzione.
Intorno a Cleopatra, alla Cleopatra di Leonella Masella, si gioca la partita del fare, nella quale vince la “luce” artificiale a più colori, che è calda e fredda, atta a captare la qualità dell’ambiente in cui si posiziona, che sia familiare oppure no, esterno o interno, in esposizione nella galleria. Poi, a seguire, stupisce, a ben guardare, la “varietà” dei materiali d’uso, scelti per metter su la figura intera, e il loro paziente incastro, privo di colle, con viti, fil di ferro, o altro, al bisogno. In più, trionfa la “leggerezza” del costrutto ottenuto, la sua aerea musicalità, dovuta all’impercettibile muoversi d’ogni singolo pezzo al variare, pur minimo, delle correnti d’aria, come, anche, per l’avvicendarsi delle persone, per il loro allontanarsi da lei, o avvicinarsi a lei, con l’intento di vederla in mostra, nella sua forma migliore, sotto i riflettori della comunicazione.
Ma l’opera ha, in aggiunta, la parvenza di un enigma dal tono giocoso, di un espediente cerebrale e di una formula alchemica, che, insieme, la rassomigliano a una “personalità totemica”, ben attagliata e affine alla modernità supertecnologica e iperconsumistica dell’oggi. Infine, il totem della Cleopatra ha il carattere ribelle e incoercibile della “libertà”, che è intima alla fantasia, con il suo vasto orizzonte immaginifico, unico futuro possibile, che lo si voglia o no. Vi è, nell’assemblaggio della Cleopatra di Leonella Masella, una levità d’impianto che conduce assai lontano e, insieme, un candore d’invenzione, pur reso con materiali poveri e di scarto, che riesce a evocare una figura di rara chiarità intellettuale e rappresentativa, con le sue leggere variazioni, con i suoi tentacoli non aggressivi, con la sua statura fragile e indifesa.
L’opera di Leonella Masella è una partita che si gioca nel Museo dell’Aria, in cui regna sovrano il trepido alternarsi, lieve e melodiante, del respiro vitale.
A ben guardare, ci si accorge che ogni storia passata è tramontata nell’indistinto della memoria, che ogni dramma di scena si è concluso, ogni stupore psichico si è abbandonato definitivamente al sogno, nella luce artificiale dell’installazione, nella variegata disomogeneità della mappatura dei suoi contenitori di plastica, nell’agilità lieve della sua aerea presenza, che pare voler indicare la curva dell’orbita ellittica dell’intero universo umano, ancora non conosciuto e segreto.
Una promessa di felicità, Anna Maria Corbi
Roma, 16 Marzo 2016
2014 Silvia Litardi:
“Appuntamento per l’ora del the in un salotto borghese del quartiere Esquilino.
La casa è in ordine, lo studio in subbuglio, dal caminetto il bagliore del fuoco.
Oh no! E’ il varco da cui entrano strani animali e esseri ibridati, avanzano sugli eleganti tappeti persiani. E’ un assedio? Personaggi immaginifici fatti dei rifiuti che la nostra società accumula inarrestabilmente, irrompono sulla scena di un interno privato che dovrebbe essere il luogo dove sentirsi rassicurati e protetti. Entrano dalle finestre paesaggi desolati e inquietanti, senza prospettiva alcuna e con l’irruenza delle tragedie sui quotidiani grigi”
(frammento dal Comunicato Stampa – TROFEI)
2014 Simona Antonacci commenta la serie Nocturnal visions :
“… è nel percorso immaginativo che la storia si completa, si compie. Il gioco è attivato dall’assenza, dalla non-completezza. È quel piacere, direi quasi necessità intellettiva, del completamento percettivo, intellettivo, creativo che libri e giochi per bambini ci danno ancora, mentre la realtà contemporanea, sempre spiegata, dispiegata, iperreale non ci fornisce più.
Un’esperienza possibile solo se si lascia lo spazio per immaginare, quello che tu lasci attraverso l’atmosfera “galleggiante” in cui i tuoi “teatrini” sono immersi, uno spazio non mimetico ma evocato, rielaborato, fluttuante.
È proprio in questa nebulosità che trovo il carattere “accogliente” di questi lavori, perché lì rimane lo spazio per la propria immaginazione, la propria narrazione, lo “spazio” per percorrere liberamente. Quello spazio che permette di perdersi”.
( Leggi tutto – Nocturnal Visions )
2013 Silvia Litardi, nel comunicato stampa per la Collettiva al Centro Socio-Culturale S. Francesco di Umbertide (PG), scrive con riferimento all’opera “Il viaggio di Avatar”:
“Sulle pareti perimetrali, nelle nicchie poco profonde si snoda la narrazione di Leonella Masella: il ciclo figurativo “Il viaggio di Avatar” richiama la perdita di un paesaggio organico per uno fortemente antropizzato e non più armonico evocato dalla dea indiana Avatara, incarnata in una futuristica pattinatrice lanciata a tutta velocità per spargere consapevolezza fra gli esseri umani.Le ampie distese desertiche e metropolitane sono attraversate da figure come sinopie, o replicanti, la cui identità non ci interessa, che tagliano i piani della narrazione riportando in auge il concetto stesso di impianto spaziale in quanto regola. Le figure umane e animali, si ripetono e si ricompongono in infinite varianti sempre riferite ad un bestiario che l’artista crea e ricrea continuamente immettendo elementi di lavori precedenti come a riprendere continuamente il discorso”.
2012 Simona Antonacci scrive:
Il senso del CICLARE
Il senso del CICLARE come capacità propriamente umana di rimettere in azione è il cuore del lavoro di Leonella Masella. La sua ricerca è un’indagine, attraverso i mezzi artistici sulla contraddizione ormai evidente fra ciò che chiamiamo progresso e la degenerazione della qualità della vita per gran parte della società contemporanea a livello globale. Questa consapevolezza ha indotto L. M. a lavorare con il concetto di ambivalenza e ambiguità di ciò che chiamiamo sviluppo e progresso.
L’installazione How we live(d) and How We Might Die ha la forza della creazione di un mondo vero e proprio con paesaggi scaturiti da un misterioso processo di trasformazione in cui i rifiuti urbani si riorganizzano nel sottosuolo in muovi agglomerati e nuove forme di vita e di architettura: grattacieli di polistirolo, personaggi-robot, ibride creature animali e antropomorfe.
Nonostante l’uso di materiali inanimati, il suo mondo prende vita, è una realtà costruita a partire da un’archeologia del presente che recupera i lacerti di ciò che utilizziamo, pezzi del nostro vivere e sopravvivere quotidiano. L’artista non mette in atto un semplice atto di “riciclo”, un puro processo di rifunzionalizzazione, ma dona un nuovo destino. Agisce qui una forma di sensibilità, propria degli uomini ed esclusa alle macchine, di cogliere la “vocazione emotiva” di ogni piccolo oggetto che lasciamo scivolare senza attenzione fuori dal nostro orizzonte di senso perché considerato inutile nei termini della funzionalità, divinità dei nostri tempi. È grazie alla sensibilità umana dell’artista che tappi di bottiglia, barattoli di latta, viti, involucri di tastiere o casse, si trasformano in una galleria di ritratti intensi portatori di nuove espressioni, capaci di veicolare personalità ed emozioni.
2004 A. Allegretti nel pieghevole scrive:
A caratterizzare la ricerca della Masella è il connubio fra i linguagg artistici, in particolare tra pittura, fotografia e poesia. … In Ho mal di testa e di universo – titolo desunto dal Libro dell’Inquietudine di Fernando Pessoa- la Masella affascinata dagli imballaggi di cartapesta … ne ha iniziato (…) a sviscerare le potenzialità espressive attraverso l’uso del mezzo fotografico: strutture apparentemente insignificanti che, disposte in una sorta di paesaggio tecnologico ricreato nello studio … hanno assunto forme tanto inquietanti quanto evocative … che si sono trasformate in castelli, cammelli, uccelli o semplicemente hanno mantenuto la loro forma ibrida. L’inserimento di versi tratti dalla produzione pasoliniana (Buonasera, Demonio,/mi ascolti sorridendo?/Ma non aprire bocca,/ho capito, mi arrendo.) ha fatto il resto…
Marina Di Cataldo osserva:
Non utilizza solo la pittura Leonella Masella per esprimere il suo punto di vista sull’uomo moderno e sul suo destino. Si avvale anche della fotografia, dell’assemblaggio e della poesia, che riprende a volte nei suoi titoli, come ad esempio nella serie “Ho mal di testa e di universo”, tratto dal Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa, o abbinando poesie ed opere, come nel caso della serie “Cambiare l’uomo del progresso o scegliere il progresso dell’uomo? … Esiste una linea, infatti, nel campo dell’arte contemporanea, che si pone come “altra”, lontana da qualsiasi corrente: che guarda alla realtà quotidiana, al contingente ponendosi sul sottile crinale tra metodi antichi e strumenti odierni per svilupparsi in una propria dimensione espressiva. Ed è questo percorso che ha deciso di seguire Leonella Masella. .. Le sue opere sono spesso inquietanti, si riferiscono ad aspetti della storia umana che spaventano, come quello della tecnologia sempre più sofisticata che non sempre è al servizio dell’uomo che l’ha creata, o come quello della guerra che, inevitabilmente, genera angosce e tormenti. Ecco allora opere dal titolo La fuga, Sangue voce muscoli corpo (Studio per inferno), gli Studi sull’inquietudine, gli Incubi di guerra, in cui singolari personaggi sono inseriti in spazi incantati e silenziosi: mondi virtuali investono la realtà e ne trasmettono i lati più oscuri e misteriosi. … (Corriere dell’Arte di Torino – Inquietudini, incubi e speranze di Leonella Masella – Un personale e originale linguaggio artistico – 12-6-2004)
2004 Claudio Crescentini in catalogo, Arte e natura dell’arte oggi, annota:
… Verso altra immagine e delineazione ci conduce l’operazione di Leonella Masella, molto lontana dalla nitida progettualità dei due citati pittori americani (George Van Hook e Adriano F. Mannocchia), per una forza espressiva giocata proprio sul “fare” materico e sull’espressività delle tecniche utilizzate. In questo senso non si può più parlare di imitatio ma di compenetrazione di elementi naturali per un resoconto artistico per una realtà, la nostra, in divenire concreto, rispetto a quella precedente, per una sempre più decisa spinta verso il DOMANI.
2012 Simona Antonacci, in occasione della Collettiva al Palazzo del Gusto di Orvieto, così commenta l’opera “Resurrection”:
“La capacità propriamente umana di rimettere in azione, è il cuore del lavoro di Leonella Masella, nata a Taranto. Nel suo lavoro la contraddizione, ormai esplicita, tra ciò che chiamiamo progresso e la degenerazione della qualità della vita, prende forma attraverso la creazione di un mondo immaginifico ma concreto.
Nella sua installazione Resurrectionl’artista sceglie oggetti di plastica, materiali di scarto mai usati prima d’ora, per realizzare il suo angolo di mondo futuribile. La leggerezza del gioco e la volatilità dell’effimero, così come il paradosso utilizzato come “tentativo scaramantico”, sono nel suo lavoro strategie per opporsi alla serietà e pervasività del messaggio negativo. Paesaggi e personaggi scaturiscono così da un misterioso processo di trasformazione in cui si riorganizzano nel sottosuolo in nuovi agglomerati: grattacieli di polistirolo, personaggi-robot, ibride creature animali e antropomorfe. Sono i lacerti del nostro vivere e sopravvivere quotidiano a prendere vita, a ricevere un nuovo destino. Così si disegna nel Chiostro “una sorta di presepe”, suggerisce l’artista, “ma senza alcun salvatore”.
2004 Torino Arte & Antiquariato il 9 giugno scrive:
“Una promessa di felicità…”, questo il titolo dell’esposizione che riunisce l’ultima produzione dell’artista che dopo aver vissuto in India, Indocina, e Sudafrica al seguito delle Nazioni Unite, attualmente vive e lavora a Roma. Filo conduttore delle opere selezionate è la dialettica uomo/tecnologia/ sviluppo, attraverso l’uso di linguaggi diversi eppure complementari, quali la pittura, la fotografia e la poesia.
2004 KRITIK Newsletter indipendente il 30 giugno 2004 scrive:
… E l’uomo in questo contesto si vede scivolare fra le dita gli ideali, gli scopi, i significati della sua esistenza. In questa dialettica uomo/tecnologia/sviluppo si collocano le serie di lavori appositamente selezionati per questa mostra: “Ho mal di testa e di universo”, “Studi sull’inquietudine”, “Incubi di guerra”, e “Cambiare l’uomo del progresso o scegliere il progresso dell’uomo?” che le è valso il Premio della Critica in occasione del Premio Internazionale di Arti Visive Espoarte 2003″. Quella della Masella non intende essere una critica tout cour alla odierna società tecnologica, piuttosto c’è la volontà di contribuire al raggiungimento di una consapevolezza da parte dell’essere umano che permetta alla tecnologia, con le sue infinite potenzialità sieri piazzare le nostre certezze perdute”.
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2004 ARTE e Dintorni
… È l’essere umano con il suo ricco bagaglio di esperienze, con le difformità di cultura, di stile di vita e di linguaggio: varietà e pluralità sempre più livellate ed appiattite da una informazione globale imperante, da una tecnologia che anziché essere al servizio dell’umanità in qualche modo se ne rende implacabile burattinaia…
2003 In catalogo Premio Internazionale Espoarte:
Premio della critica…” per la complessità e l’originalità nella struttura, nella narrazione e nella composizione, così come per la felice combinazione fra arte visiva e composizione poetica…”
2002 Claudio Crescentini in catalogo:
Vivere l’arte oltre il quotidiano, questo in profondità sembra l’ispirazione primaria della Masella, il suo contrapporsi continuo alla dissoluzione dei tempi mediante l’uso avvolgente del colore, delle polveri, dei legni, delle carte, nel tentativo di ricostruire un mondo nuovo, diverso, migliore(?).
2001 Alain Savary (Funzionario FAO) scrive all’artista:
… Avevo il Roof Garden tutto per me, c’erano vaghi rumori di preparazione del pranzo, un mormorio venendo dai piani inferiori, il chiasso lontano lontano della Via Nazionale. Ero solo di fronte alle tue belle, dure, tristissime opere. Sono rimasto a lungo. Tu sei una artista completamente africana, disperatamente, sconvolgetemene africana. A tal punto che quando mi sono ritrovato di fronte alle porte dell’ascensore non sapevo più dove fossi – a Cape Town o a Harare, forse, ma a Roma no di certo! Grazie del bel viaggio – da spezzacuore come sempre l’Africa, ma così forte, aspro, nudo…. (e-mail del 2 maggio 2001 dopo aver visitato homo faber home sapiens al Palaexpo di Roma)
2001 Annotazione di Massimo Petruziello, giovane poeta e giocatore di scacchi.
Lo stile della Masella è intrigante e libero, personale ma intimamente legato alla modernità pseudo-intimistica delle moderne macchine …
Ferruccio Ulivi in catalogo:
… I foto-collage dipinti e le relative cornici di piombo accartocciate denunciano un’inquietudine verso il mondo occidentale della tecnologia. I lavori sono sottili ma complessi, con i loro riferimenti al Modernismo (suggeriscono pittori come Picasso, Ernst Matisse e de Chirico) e al deteriorarsi della vita urbana,, alla guerra nucleare, agli ibridi umani, alle macchine logorate, ma anche all’atto creativo del fare arte in una cultura postindustriale. I lavori sono sofisticati, ben risolti e convincenti …
Carla Guidi commenta:
… Le opere sono coloratissime, ma il nero “non-colore” a volte incornicia e racchiude gli spazi densi di figure in rappresentazioni sovrapposte e cangianti, multi materiche in un continuum implacabile tra esterno ed interno, vissute come un piccolo teatro che appare improvvisamente da luoghi inusuali, dall’interno di scatole magiche illuminate, sotto strati fisici di piombo strappati ed arricciati sui bordi, dentro specchi d’alluminio. La funzione eroica dell’arte sembra essere quella di trasformare alchemicamente il piombo in oro, di liberare gli uomini e le donne dalla pesantezza del dolore e della sconfitta sulle proprie passioni, dall’ingordigia distruttiva del potere.(Telesport 29/4/2001)